Volontari in emergenza, una bussola per orientarsi

Con la divisione dell’Italia in 3 zone, caratterizzate da un diverso grado di rischio e da differenti restrizioni, è aumentata la difficoltà nel comprendere quali attività possano essere svolte e quali no, e ciò vale a maggior ragione per le attività di volontariato ed in generale per le attività svolte dagli enti non profit.

Ma come orientarsi tra le diverse fonti normative e capire se e come svolgere la propria attività?

Ecco alcuni elementi per “leggere” meglio il quadro normativo attuale.


Le caratteristiche del nuovo quadro normativo

Come già evidenziato nell’articolo “Covid-19, le nuove misure del lockdown selettivo”, il Dpcm del 3 novembre 2020 (in vigore dal 6 novembre fino al 3 dicembre 2020) ha delineato una sorta di lockdown “selettivo”, graduato per i vari territori regionali diversamente compromessi dalla pandemia.

In particolare sono state individuate tre zone:

l’area gialla (art.1 del Dpcm);
l’area arancione (art.2 del Dpcm), caratterizzata da uno scenario di elevata gravità e da un livello di rischio alto;
l’area rossa (art.3 del Dpcm), caratterizzata da uno scenario di massima gravità e da un livello di rischio alto.

L’inserimento delle Regioni e Province autonome in una delle tre zone avviene con ordinanza del Ministro della Salute sulla base dei dati epidemiologici che caratterizzano l’andamento della pandemia nei diversi territori. Lo stesso Ministero, con frequenza almeno settimanale, verifica il perdurare della situazione e provvede con ordinanza all’aggiornamento del relativo elenco.

Il principio generale, evidenziato anche dalla Circolare del Ministero dell’Interno del 7 novembre 2020, è quello per cui le disposizioni dettate per l’area gialla valgono su tutto il territorio nazionale, a meno che non siano derogate da misure più restrittive previste nello specifico per l’area arancione e per l’area rossa.

Nel caso in cui, quindi, un’attività sia permessa nell’area gialla lo sarà anche nelle aree arancioni e rosse, a meno che non sia espressamente vietata o sospesa dalle disposizioni specifiche che valgono per tali aree.


Le principali misure comuni alle diverse aree

Fra le misure che tutti gli individui devono rispettare, indipendentemente dal “colore” della zona in cui risiedono, vi sono:

l’obbligo di indossare la mascherina nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e anche all’aperto, a meno che in quest’ultimo caso sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi. Non sono soggetti a tale obbligo coloro che stanno svolgendo attività sportiva, i minori al di sotto dei 6 anni e i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina;
l’obbligo di mantenere il distanziamento interpersonale di almeno un metro;
l’obbligo di autocertificare i propri spostamenti:

in area gialla, dalle ore 22 alle 05 del giorno successivo;
in area arancione e rossa, durante tutto il giorno.

Il modulo di autocertificazione attuale prevede come possibili cause giustificative:

le “comprovate esigenze lavorative”;
i “motivi di salute”;
“altri motivi ammessi dalle vigenti normative ovvero dai predetti decreti, ordinanze e altri provvedimenti che definiscono le misure di prevenzione della diffusione del contagio”: in quest’ultimo residuale caso la persona dovrà specificare quale sia il motivo (consentito) che sta alla base dello spostamento.

Nelle aree arancioni vige un generale divieto di spostamento, in entrata e in uscita, così come fra Comuni diversi, a meno che non ricorrano le cause giustificative appena menzionate; la sola mobilità all’interno dello stesso Comune non è invece soggetta a limitazioni e quindi non dovrà essere giustificata.

Nelle aree rosse vige il regime più stringente per quanto riguarda il divieto di spostamento, che riguarda non solo gli spostamenti intraregionali ma anche quelli all’interno dello stesso Comune, per i quali è necessario avere una causa giustificativa e quindi produrre l’apposito modulo.

Le attività di volontariato e degli enti non profit: come orientarsi

Come è stato per tutti i vari Dpcm che si sono susseguiti da inizio pandemia, anche quello del 3 novembre non detta alcuna misura specifica per le attività di volontariato o per quelle svolte in generale dagli enti non profit, ma le disposizioni che vietano, sospendono o permettono determinate attività si applicano anche ai volontari e agli enti.

Per comprendere se una determinata attività possa o meno essere svolta dovrà prima di tutto verificarsi se il suo esercizio sia ammesso sulla base dei Dpcm nazionali in vigore e dagli altri documenti esplicativi degli stessi, quali:

le circolari del Ministero dell’Interno, consultabili nell’apposita sezione del sito istituzionale;
le FAQ (domande frequenti) sul sito del Governo;
la sezione dedicata sul sito del Ministero della Salute;
in relazione all’attività sportiva, le FAQ presenti sul sito del Dipartimento per lo Sport.

Oltre ai provvedimenti nazionali occorrerà prestare molta attenzione alle ordinanze emanate dalle singole Regioni o Province autonome, le quali potrebbero disporre in maniera diversa (e tendenzialmente più restrittiva) rispetto ad una o più attività specifiche.

Qualora non si riesca comunque a capire se lo svolgimento di un’attività sia o meno possibile, appare opportuno contattare e chiedere lumi alle autorità territoriali competenti in materia, in particolare le prefetture, i centri operativi comunali (C.O.C.) laddove istituiti, e i Sindaci.

Se, a seguito di tali verifiche, si comprende che l’attività può essere svolta, l’ente dovrà individuare i protocolli o le linee guida disposti per prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, e metterne in pratica le previsioni. I principali protocolli di riferimento a livello nazionale sono allegati al Dpcm 3 novembre 2020, e fra essi rivestono particolare importanza quello per contrastare e contenere la diffusione del virus negli ambienti di lavoro (allegato 12) e le Linee guida per la riapertura delle attività economiche, produttive e ricreative (allegato 9), emanate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ed aggiornate alla data dell’8 ottobre 2020. I protocolli nazionali possono poi essere stati integrati da ulteriori protocolli o linee guida regionali o provinciali, ai quali si dovrà prestare particolare attenzione.

Il mancato rispetto dei protocolli o delle linee guida regionali o nazionali comporta la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di tutela e sicurezza per le persone coinvolte.

Qualora un’attività sia ammessa, ai volontari che la svolgono l’ente dovrà rilasciare una dichiarazione al fine di attestare l’esigenza del servizio, la quale dovrà essere presentata (assieme al modulo di autocertificazione, barrando la casella “altri motivi ammessi dalle vigenti normative”) al momento di un eventuale controllo.

Come detto più volte negli scorsi mesi, il principio fondamentale in un momento come questo è quello di responsabilitàtutte le organizzazioni, a maggior ragione quelle non profit, che intendano svolgere una determinata attività oggi ammessa, devono poter garantire un adeguato livello di tutela e protezione della salute degli operatori (dipendenti e volontari) e in generale di tutte le persone coinvolte: qualora ciò non sia possibile, l’attività è opportuno venga sospesa.

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